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Archivio per agosto, 2017

Quando i genitori denunciano il proprio figlio

 

“Che tipo di società stiamo consegnando ai nostri figli?”

 

“Ragazzo di 18 anni investe e uccide un turista in bicicletta, poi torna a dormire: i genitori lo denunciano

Non li convince il racconto del figlio e tornano sul luogo dell’incidente. Qui trovano i Carabinieri e fanno il nome del figlio”

Il link dell’articolo da cui ho tratto il drammatico fatto:

http://www.huffingtonpost.it/2017/08/29/ragazzo-di-18-anni-investe-e-uccide-un-turista-in-bicicletta-poi-torna-a-dormire-i-genitori-lo-denunciano_a_23189413/?utm_hp_ref=it-homepage

 

Ho intercettato questo articolo in rete e mi è venuto subito alla mente il film di Virzì “Il capitale umano” in cui si verifica un incidente più o meno simile a questo raccontato dall’articolo linkato, e spesso i registi si ispirano a fatti di cronaca, letti sui giornali, per poi realizzare le loro opere e così ha fatto anche l’altro regista De Matteo con “I nostri ragazzi”.  Due pellicole molto interessanti e direi necessarie, una fotografia spietata e senza troppi ritocchi di una gioventù “bene” a cui tutto in qualche modo viene concesso e perdonato e dove la fragilità degli adulti diventa responsabile delle azioni scellerate e criminali dei figli.

Mi sono detta che questi genitori devono essere molto coraggiosi ed eroici nel compiere un atto del genere e col loro gesto di denuncia del figlio dimostrano un grande amore nei suoi confronti, proprio perché sanno che dovranno privarsi del figlio e forse anche del suo amore in quanto egli non capirà subito, e forse mai, la grandezza di questo gesto a fronte di un’accusa di omicidio stradale e di omissione di soccorso.

Questi genitori avrebbero potuto parlare col figlio e fare in modo che si consegnasse lui stesso ai Carabinieri , ma ciò non è avvenuto e chiaramente ciò  pone l’interrogativo del perchè abbiano preferito andare loro dai Carabinieri e denunciare il figlio.

Alla domanda “Lo conosci tuo figlio?” questi genitori evidentemente non hanno dubbi nella risposta , perché  “Sì”  loro conoscono il figlio , conoscono le sue fragilità, sanno che le parole del figlio vanno decodificate e si sono resi conto che nel racconto di questo figlio , qualcosa li ha allertati  sino ad andare alla fonte della verità , sino a voler vedere con i loro occhi quello che è accaduto perché nelle parole del figlio hanno colto qualcosa di inquietante pur nella loro normalità, forse “troppo” – esagerata normalità.

Non conosco i rapporti tra questi genitori e il loro figlio e non si può interpretare , ma come madre che si fa in continuazione domande  sulla propria genitorialità  e sulla propria (in-) adeguatezza in quanto genitore , in questo caso  e guardando all’esito di questa storia di cronaca mi viene da pensare che questo brutto epilogo abbia delle cause “altre” da ricercare,  così come  anche  la dipendenza del figlio da alcool e droghe, come si evince dall’articolo,  e chissà quante tribolazioni  questi genitori hanno  dovuto affrontare  nel tempo sino alla loro ultima decisione di denunciare.

I genitori hanno il compito di crescere i propri figli , ma poi ad un certo punto devono “lasciare andare” perché questo vuol dire consentire che i figli diventino autonomi  e diventino adulti , uomini e donne indipendenti  e capaci di  gestirsi nel mondo , dice Kahlil Gibran “Tu sei l’arco che lancia i figli verso il domani”  e in questo caso  questi genitori  sanno esercitare  bene il loro ruolo , sanno che non possono diventare passivi complici  di un’azione scellerata e criminale del figlio , rompono lo schema che vi sia una nemesi secondo la quale “ le colpe dei padri ricadono sui figli” e svolgono un atto  di grande amore e di grande responsabilità individuale e sociale in cui il messaggio che  arriva è  “essere genitore” vuol dire soprattutto assumere una veste morale, quando è necessaria,  e saper assumersi la responsabilità di fare qualcosa in maniera consapevole anche se molto dolorosa e contraria all’irresponsabilità filiale .

Questa storia ci rimanda alla complessità della dinamica genitori-figli , in un’epoca in cui spesso si parla di genitori  “ultra-protettivi” , di madri “totali” e di “padri mammosi” , credo che invece si debba iniziare a pensare ad uscire  dai tanti luoghi comuni e stereotipati  sulla genitorialità , riflettendo  sui  recenti cambiamenti sociali  e senza rinunciare alle sfide educative che un genitore deve e può accogliere per porsi una domanda per me fondamentale , ossia “Che tipo di società stiamo consegnando ai nostri figli?”  e alla ricerca della risposta, o delle risposte,  non ci si può sottrarre e questi genitori non l’hanno fatto, fornendo un “esempio” struggente e denso di significati per ogni genitore di questi tempi.

“Essere d’esempio” come genitore, non vuol dire “essere perfetti” perché questo sarebbe un messaggio devastante e spesso vediamo che lo è, credo che invece possa aiutarci il recuperare una dimensione più “morale dell’essere”, che si interroghi di più “su chi siamo” per noi e per gli altri e su quanto “l’essere una risorsa” anche per i nostri figli, ad esempio, possa passare dal cercare di essere migliori (non perfetti) per noi stessi e per una più estesa e reale convivenza sociale.

Stefania Cavallo

31 agosto 2017

Nota : questo caso ripropone  il tema del “dilemma” ( vd. ad es. il cosiddetto dilemma corneliano) ossia una scelta impossibile tra due valori ugualmente importanti e condivisibili l’uno come l’altro , il  “dovere” da un lato e “l’amore” dall’altro.

Un dilemma , qualunque sia l’opzione scelta, avrà delle conseguenze comunque negative.

Non si tratta di una “scelta” , anche nel nostro caso specifico, che implicherebbe più possibilità, ma  di un “dilemma” con due possibilità che si escludono l’una con l’altra . (vd. tragedie raccontate da Corneille ecc.) .

Nel nostro caso, i genitori sanno bene che denunciando il figlio lo accompagneranno al  carcere per  scontare la sua pena , lo perderanno,  ma sanno anche che se non lo faranno (e non sono poi così sicura che   vi siano genitori che si comportino secondo la prima  opzione) dovranno vivere con questo delitto e questo peso sulle loro coscienze, a fronte dell’amore filiale.

Questa intervista del regista Ivano De Matteo relativa al suo bel film I nostri ragazzi mi sembra calzi molto bene a quanto detto sino ad ora:

Manutenzione d’amore

libri

Dal capitolo  “EVOLUZIONE DELLA CULTURA DELLA SEPARAZIONE IN ITALIA E  LA    MEDIAZIONE FAMILIARE”   del mio primo libro  I GIORNI PERDUTI…..

 

copertina del libro

 

I  genitori si considerano nemici. Si rivolgono ad un avvocato che li rappresenti, perché il conflitto si sposti sul piano legale, mentre invece le tensioni restano e continuano a litigare. Il mediatore familiare è un facilitatore della comunicazione; mentre il legale fa il suo lavoro, gli ex coniugi continuano a dialogare nella  “stanza di mediazione” .

Scopo della mediazione non è riappacificare, ma creare i presupposti per una separazione pacifica.

La mediazione esige la tregua (col consenso degli avvocati e la sospensione dell’eventuale giudizio). Tutto il rituale della mediazione familiare è di per se pacificatore.

In particolare riprendendo il concetto di “manutenzione” della  coppia mi sembra opportuno ricordare e citare  uno  scritto  di  F. Scaparro  che appunto descrive questo concetto di “manutenzione d’amore” che personalmente trovo molto interessante in quanto non scontata e un po’ in contro-tendenza in una società come quella attuale del tipo “usa e getta”:

“….Non è comune un’espressione quale ‘manutenzione d’amore’ , anzi appare forse sconsigliabile perché unisce in una sorta di ossimoro due immagini in apparenza contraddittorie, la presunta pesantezza della manutenzione e la presunta levità dell’amore. Peccato perché nella manutenzione c’è spesso tanto amore , nel senso di un forte legame di affetto e di interesse, o almeno di impegno e di diligenza , affinché l’oggetto ‘ben mantenuto’ duri  nel tempo nelle migliori condizioni possibili. (…) La manutenzione , per di più, fa bene a chi la fa , impreziosisce, con il lavoro, la cura e l’impegno, il rapporto con uomini e cose, ci assicura legami vitali, ci dà radici, toglie le nostre relazioni dalla precarietà della cronaca collocandole in una storia che è una storia di cura, perfezionamento, impegno, affetto.”3

 

 

3              da  cap. 6 di “La bella stagione. Dieci lezioni sull’infanzia e l’adolescenza” di  F. Scaparro, Ed. Vita & Pensiero – Transizioni 2003 , Milano.

IL CORAGGIO DI MEDIARE: L’ESPERIENZA DELLE MADRI ISRAELIANE E PALESTINESI IN ZONE DI GUERRA

Le soluzioni pacifiche alle dispute richiedono  coraggio. Il coraggio, diceva

Winston Churchill, è la prima delle qualità umane perché garantisce tutte le altre

 

Oggi pubblico un mio vecchio contributo del 2011 sul tema del mediare e della riconciliazione in zone di guerra con l’incredibile testimoninza delle madri israeliane e palestinesi e i Parent’s Circle,  associazione creata dai genitori delle vittime del conflitto israeliano-palestinese al fine di stimolare azioni di pace tra le due parti.

 

 LO SPAZIO DI      MEDIAZIONE FAMILIARE  E  DI ASCOLTO DI BASIANO

(a cura di Stefania Cavallo)

IL CORAGGIO DI MEDIARE: L’ESPERIENZA DELLE MADRI

ISRAELIANE E PALESTINESI IN ZONE DI GUERRA

locandina  Madri

Il 1° ottobre 2007, in un’intervista al Corriere della Sera, lo scrittore israeliano Amos Oz parla del suo vivo interesse per le vicende private, per le storie che raccontano gli incontri e gli scontri intimi tra gli esseri umani. «Nei miei romanzi descrivo soprattutto le vite di singole persone. Mi piace costruire storie in cui i rapporti familiari o i rapporti tra amici siano al centro dell’attenzione. Rivelerò un segreto. In realtà, non parlo mai di popoli ma solo di singoli esseri umani. Frequentemente, però, mi capita di rileggere ciò che ho scritto. E solo a posteriori mi rendo conto che descrivendo quel particolare personaggio ho finito per descrivere anche una famiglia, un intero quartiere, una determinata situazione storica. Ma questa dilatazione degli orizzonti è spontanea, non è mai frutto di una pianificazione».  E poiché la dimensione privata è per lui un laboratorio per meglio capire il macrocosmo della realtà politica, si spiega la profonda convinzione di Amos Oz nell’utilità della mediazione.

 

«Credo profondamente nella mediazione, non tanto per un approccio di tipo politico. È la mia esperienza privata che mi ha fatto capire che senza mediazione è difficile concepire un rapporto tra un padre e un figlio, tra un marito e una moglie, tra un fratello e una sorella, tra individui in generale. Bisogna partire dal fatto che gli esseri umani sono molto diversi tra loro, e senza mediazioni non è facile trovare un punto di incontro». «Purtroppo i giovani, che sono più idealisti, non amano la mediazione», commenta. «La considerano un meccanismo disonesto, opportunistico: una mancanza di integrità. Invece per me la mediazione è coesistenza, è la capacità di vivere assieme. E questo vale per due individui, come per due popoli. Molte persone pensano che il contrario della mediazione sia l’integrità. Invece per me il contrario della mediazione è il fanatismo e, quindi, la morte».  «Il fanatico è un punto esclamativo che cammina. Non ha una vita privata. Appare come un altruista, visto che si interessa soprattutto agli altri. Ma non lo fa per capire l’altro, lo fa solo per costringere l’altro a essere ciò che lui pensa sia giusto essere. Per costoro, nessuna forma di mediazione è possibile». Qualsiasi fanatico pensa sempre di possedere la verità assoluta da imporre agli altri per il loro bene. «Proprio così. Ma anch’io ho una verità assoluta. Sono convinto che sia sempre un male infliggere dolore a qualcuno. Se dovessi sintetizzare tutti e dieci i comandamenti in un unico comandamento, in assoluto direi: non infliggere dolore a nessuno. Questo è il punto fermo della filosofia della mia vita. Il resto è relativo».

La mediazione è uno strumento di pacificazione e di rispetto tra esseri umani in tutti gli ambiti della vita, sia a livello macrosociale – quando si parla di conflitti tra popoli – sia a livello del piccolo gruppo, famiglia in primo luogo.

Ed è con questa digressione, da Amos Oz,  che desidero introdurre il FILM “MADRI” di Barbara Cupisti (2007) quale storia di mediazioni “impossibili” tra le  madri israeliane e le madri palestinesi, separate dalla guerra e dall’odio, unite nella stessa disperazione di aver visto ammazzare i propri figli e le proprie figlie  .

Chi genera la vita ha il potere di mettere fine a chi vuole distruggerla. Solo la forza di una madre, e il suo dolore, può credere che questa speranza si faccia realtà. Perché una mamma, di qualunque lingua e provenienza, vive con la paura per i suoi figli. Lo sostiene la Cupisti in questo suo documentario, che nasce vicino all’esperienza del Parent’s Circle, associazione creata dai genitori delle vittime del conflitto israeliano-palestinese al fine di stimolare azioni di pace tra le due parti.

“Se noi che abbiamo pagato il prezzo più alto riusciamo a parlarci, perché non possono farlo anche gli altri?”

Salutiamoci allora con questo augurio universale: “HALLO SHALOM, HELLO SALAM, HELLO PEACE!”

 

22 agosto 2017

 

 

MEDITAZIONI SULLA CATTIVERIA: NON PERDONARE

non-violenza

Non perdonare, non voler perdonare è un po’ da “cattivi” secondo me, perché chi non vuole perdonare qualcuno o qualcosa in qualche modo sa che così ha sempre una certa area di influenza sull’altro, oggetto della sua cattiveria/crudeltà mentale, e così lo tiene costantemente in scacco, creando sempre un senso di colpa e di inadeguatezza.

Cosa sarebbe stato del figliol prodigo o “figlio ritrovato” se non fosse stato perdonato dal padre?

Cosa succede quando i genitori non riconoscono ai propri figli la possibilità incredibile del perdono?

Una domanda che mi sto facendo per questioni personali e ho scoperto che è una domanda cruciale anche nella mia vita.

Certo come dice Massimo Recalcati nel suo ultimo bel libro “Il segreto del figlio”, semplificando con grande rispetto (su una  questione  invece molto complessa), si tratterebbe di un comportamento un po’ contro-natura per un genitore, quello del non saper perdonare il proprio figlio, eppure succede, perché?

Per “perdonare” bisogna far breccia nel proprio cuore e nella propria umanità, qualità umane sempre più inespresse e imbarazzanti.

Il concetto di “perdono” apre sempre a molte riflessioni e a scuole di pensiero diverse, quando nella propria vita invece è un aspetto che  tocca un po’ tutti, nel bene e nel male.  Non c’è dubbio che la nostra cultura e società siano più orientate a logiche di situazioni in cui il perdono non è quasi mai preso in seria considerazione, con le sue straordinarie possibilità di cambiamento, in quanto viene vissuto come una perdita di potere verso l’altro, come una resa poco efficace, che non porta a nulla di costruttivo e un pensiero dominante a proposito è che “perdona chi in qualche modo è un debole”. Ci si “vergogna” di perdonare perché è come ammettere di aver sbagliato in qualcosa, quindi è come se, in una logica vincente-perdente, anche il proprio essere o identità ne venisse sminuita.

Il punto che mi interessa molto su tutta la questione del perdono, e che credo di aver messo a fuoco in questi anni, è non sottovalutare questa opportunità del “perdonare” e capire perché nella storia dell’uomo, questa necessaria possibilità  connaturata nell’animo umano, si sia persa e addirittura, nel caso della figura del  “genitore” contemporaneo,  abbia perso il suo alto e salvifico valore a vantaggio dell’affermazione e del riconoscimento di qualcosa definito più contro-natura col “non perdono”  filiale, e tutto questo può lasciare facilmente spazio al risentimento, all’odio , al  rancore, alla vendetta, alla cattiveria  e alla non soluzione  del problema, ma soprattutto a profonde sofferenze e drammi esistenziali non risolti.

 

Stefania Cavallo

21 agosto 2017

 

 

 

 

Il mio sostegno a Massimo Recalcati

 MASSIMO RECALCATI

Massimo Recalcati , psicoanalista, professore universitario e scrittore

 

Quest’anno ho seguito un po’ tutta la polemica che ha visto Recalcati, psicoanalista e professore universitario oltre che noto scrittore, molto esposto sul fronte pubblico e ho maturato alcune personali considerazioni che ritengo di esprimere in merito.

Quando ho visto che Recalcati virava molto a sostegno di Matteo Renzi, devo dire che sono rimasta un po’ colpita e la cosa mi ha piuttosto infastidita e poi questa commistione tra psicoanalisi e politica mi faceva pensare e l’ho anche già scritto, tuttavia, in seguito, stimando Recalcati credo sia una sua scelta personale da rispettare e che in qualche modo rientri nel suo modo “libero” e intellettualmente” corretto di essere.

Apprezzo di Recalcati l’aver diffuso il pensiero lacaniano e aver sdoganato un certo settarismo della sua categoria professionale, un’impresa che lo vede sempre in prima linea e con le idee molto chiare, un’impresa che per chi, come me, conosce questo ambiente è veramente quasi “impossibile” e molto difficile da intraprendere con tale coerenza, generosità intellettuale, umanità , intelligenza e competenza.

Nel mio percorso di studi e di vita ho e ho avuto l’opportunità e , ritengo, la fortuna di incontrare grandi  donne e uomini della nostra cultura  e non solo, maestri e intellettuali del pensiero filosofico, pedagogico, psicologico e psicoanalitico oltre che sociologico e tra questi oggi annovero appunto Massimo Recalcati , per il suo notevole impegno intellettuale, sociale e politico.

Non condivido sempre tutto quello che Recalcati scrive ed asserisce, ma certamente questo mi è da stimolo per riflettere e per approfondire alcune questioni sulle quali non ho mai smesso di informarmi e di studiare perché ho, da sempre, una passione smisurata per tutto questo campo psicologico e psicoanalitico con risvolti più sociologici e filosofico-esistenziali.

Da un po’ di tempo , da un punto di vista politico, ho preso le distanze da Matteo Renzi e dal PD  perché ho visto , in questi anni di mia partecipazione attiva,  un grave scollamento di questo partito  dai  problemi reali e sociali , e nonostante ciò, nel rispetto di posizioni diverse,  di Recalcati  apprezzo molto  il suo impegno sociale con Jonas Onlus, così come la sua opera di divulgazione della psicoanalisi , così come la sua capacità di creare contaminazioni culturali fertilizzanti in senso più diffuso e generale.

C’è da dire che attraverso i media si parla molto delle sue iniziative, penso ai suoi articoli su La Repubblica, ai suoi numerosi libri, veri e propri best-seller, su padri, madri, figli contemporanei e su scuola che lo vedono molto spesso in giro per presentazioni e promozioni editoriali, ma non solo. Credo che tutto questo suo successo possa disturbare chi non è riuscito come lui ad affermarsi, perché questo spesso succede e sappiamo tutti che, come nella favola della “volpe e l’uva”, l’archetipo antropologico del denigratore è da sempre appannaggio del cinico e di chi non è riuscito a realizzarsi e mal tollera invece chi, con sue qualità e talento, vi è riuscito. Sono certa che questo si verifichi ogni volta che si rompono degli schemi rigidi spesso espressione di lobby culturali, intellettuali e accademiche che si arroccano su certezze e dogmi acquisiti che non possono essere messi in discussione per una questione di esclusivo monopolio e controllo del potere e privilegi.

Recalcati , a mio avviso,  ha  diverse  frecce al suo arco, fuor di metafora,  che molto hanno a che fare con la sua indiscussa capacità dialettica e affabulatoria, il suo modo di  porsi  piuttosto aperto al dialogo  per  l’autenticità e la verità delle sue parole,  il fatto che, dal punto di vista estetico, sia anche un giovane  uomo piacevole , gradevole e che quindi piaccia molto alle signore, che come le fan di una rockstar,  lo seguono numerose nei suoi  incontri anche perché  la componente femminile rappresenta  spesso la componente più numerosa  su queste tematiche, non teme di analizzarsi , di mettersi in discussione su diversi  e nuovi fronti  esistenziali  più privati .

Per concludere, non so se mi farò nuovi nemici con questa mia, ma avendo uno spirito partigiano ogni tanto sento l’esigenza di “stare con” persone e situazioni perché come dice il noto scrittore “guerriero” Erri De Luca: “le battaglie che sento mie faccio mie……sono come una casella postale: se condivido ricevo e faccio rimbalzare”.

Un’appassionata lettrice ed estimatrice dei suoi libri

Stefania Cavallo

18 agosto 2017

 

 

 

 

 

 

ESSERE FIGLI

 

ESSERE FIGLI

Essere figli

“Essere figli è un privilegio che solo quando ti viene sottratto dalla vita comprendi perché è facile cadere nelle malinconiche assenze di volti, voci e abbracci che ti hanno fatto grande… anche se faresti di tutto per tornare bambino e ritrovarlo ancora lì quell’ abbraccio con cui stringevi tutto il tuo mondo.”

Gianfranco Iovino

 

 

L’essere figli o figlie è qualcosa che fa parte della nostra identità, da quando veniamo al mondo, col nostro nome e cognome, anche se poi diventeremo mariti, mogli, compagni di viaggio, padri o madri e così via.

Avremo responsabilità e non sempre sapremo prenderle e ci sarà quella voce adulta come custode dei più bei ricordi regalati, a colori o in bianco e nero, quelli dell’infanzia e dell’adolescenza.

Saremo figli e figlie sempre e per sempre, perché quella battuta, quel consiglio, quella preoccupazione con voce calda ce la porteremo sempre con noi, nel profondo dell’anima.

Vado  a ritroso con la memoria e mi vengono alla mente alcuni antichi proverbi, veri e propri mantra di mia madre, come “Il mattino ha l’oro in bocca” che ti resta dentro e vorresti risentire ancora perché così è la vita, col darsi da fare e cominciare bene la giornata è quello che permette di realizzare i propri desideri, ciò che permette di fare tutto per bene. Questo concetto rappresentava mia madre che lo portava sempre con sé.

Ora che mia madre non c’è più, da qualche mese,  mi manca tutto questo, ma è anche tutto quello che mi resta e molto altro.

Con mio padre , da quando non c’è più mia madre,  ci sono soprattutto sguardi e silenzi , poche parole , pochi ricordi da parte sua e questo rimanda ad una relazione padre-figlia non negativa , ma forse a volte un pò imbarazzante ,  perchè quella profondità e quella capacità narrativa materne  diventano per me un grande rimpianto e a volte una mia necessità  inascoltata.  Con mio padre , proverò a ristabilire quelle parole che possano far bene anche a lui , quelle stesse parole di mia madre che lui sembra  aver temporaneamente  dimenticato , forse solo per non soffrire .

 

Stefania Cavallo

13 agosto 2017

Il linguaggio giovanile della musica RAP e TRAP

l linguaggio giovanile della musica RAP e TRAP

 

rap

Un murales da me ripreso durante  una passeggiata lungo il naviglio Martesana , in zona Cassina De Pecchi , una zona che ha sfornato e sforna giovani artisti rapper

PREMESSA

Il rap è una tecnica vocale dalle origini più disparate, soprattutto di black music, che consiste nell’esecuzione di allitterazioni, assonanze e rime senza note su basi ritmiche uniformi, cadenzate e spesso già assemblate e registrate, con frequenti accompagnamenti strumentali o più spesso elettronici, in alcuni casi con suoni emessi con dischi girati manualmente (Wikipedia).

Mi incuriosisce molto, di questi tempi, capire più da vicino il mondo musicale di cui si nutrono i giovani oggi, dal rap alla trap underground-di strada (il genere “trap” deriva dal rap, con un immaginario legato al mondo della droga e allo spaccio,  inoltre la parola Trap tradotta in italiano significa “Trappola”, appunto un riferimento nascosto al mondo della droga come un tunnel da cui è molto difficle uscire , ma non impossibile).

La spinta è sempre una necessità personale di capire cosa porta gli adolescenti, i nostri figli, ad ascoltare in maniera quasi ossessiva questi giovani cantanti, a seguirli nelle loro esibizioni che spesso iniziano dai parchetti periferici metropolitani e dalla nostra bella provincia italiana. Si tratta di un linguaggio musicale, a volte sgraziato, urlato a modi “mantra”, con testi o frasi -rime (come le chiamano) anche dure e impietose, un pò “contro” qualcosa e qualcuno, forse è per questo che mi incuriosisce approfondire, ma passando soprattutto dal racconto delle loro vite, oltre ai testi dei loro pezzi. Ghali, Ernia e Tedua ad esempio mi sembrano che abbiano cose interessanti da dire e che chi ha figli adolescenti dovrebbe conoscere e cercare di decodificare.

Ci provo perché ritengo che questa musica svolga un’importante funzione sociale (come tutta la musica in generale…), anche in considerazione del discorso sui modelli educativi positivi per i nostri ragazzi che sono “altro” rispetto alla nostra generazione e quella dei nostri nipoti.

IL RAP ITALIANO

Questa musica , e parlo del RAP italiano , è da qualche anno sulla vetta delle nostre  classifiche musicali , o meglio è  “ritornato” e ha ritrovato una rinnovata stagione di successi anche con la nascita di diverse competizioni di freestyle e la diffusione tramite internet . Tra i primi artisti italiani  si possono annoverare  l’ex-dj  Jovanotti , così come  J-AX  che all’inizio si presentava col gruppo  ARTICOLO 31, ma senz’altro molti altri come  la band bolognese “Raptus”, fondata da Ohm Guru e Gaudi,  così come  sul finire del 1999 il gruppo milanese Sacre Scuole, composto da Jake La Furia, Guè Pequeno e Dargen D’Amico, e ancora Fabri Fibra , sino a Mondo Marcio e  Marracash .

Dal 2010, dopo il successo del singolo Tranne te di Fabri Fibra, si crea un vero e proprio fenomeno di rapper mainstream. Fanno il loro debutto nella musica rap italiana artisti come Fedez, Emis Killa, Clementino, Gemitaiz, MadMan, Vacca, Rocco Hunt e Moreno. Allo stesso tempo nascono artisti nell’underground che riescono a portare la loro musica ad alti livelli di vendita, esempi di questi artisti sono Salmo e Nitro.

In questi anni, famose  major  hanno siglato  importanti contratti con artisti italiani di musica rap, ma non è sempre stato così e ancora oggi , per i più giovani,  si diffonde sempre di più la tendenza all’auto-produzione e ad una sorta di self-managerialità proprio per le difficoltà in cui si trova il mercato discografico.

STORIE

La personale percezione , masticando molta musica e un po’ di tutti i generi in particolare attraverso la radio e internet, è che questa musica resti un fenomeno contemporaneo di nicchia e soprattutto giovanile , nel senso che spesso quello che arriva ai neofiti in ascolto, come me,  in prima battuta è un genere un po’ ripetitivo , con un ritmo un po’ ossessivo e  insistente e rispetto alle parole anche qui è più un  “già ascoltato” su  droga, sesso e la ricerca del successo  associato alla parola “rispetto”, una parola di riconoscimento/affrancamento sociale molto sdoganata dai giovani  , molto presente in tutto il  loro parlato  in quel loro slang  spesso indecifrabile.

In realtà, se si sceglie di capire e di approfondire , magari focalizzandosi solo su alcuni di questi giovani rapper , quindi ascoltando i loro racconti , i loro percorsi musicali  e i testi  dei loro pezzi , ebbene si colgono meglio le diverse sfumature e differenze e poi non sembrano più  “tutti uguali”,   come spesso si tende a dire con un po’ di superficialità ; con questo non voglio neppure affermare che tutto sia musicalmente valido e di successo, ma per poterlo verificare è opportuno fare un personale lavoro di  pulizia da “pregiudizi ”e da abitudini culturali musicali pensando che ci sia della musica di serie A e musica di serie B , in quanto come sociologa ritengo paradossalmente che tutta la musica rappresenti  un patrimonio importante per comprendere la società e i suoi mutamenti  e nella fattispecie per decodificare i bisogni e le aspirazioni dei nostri giovani. Anche io credo, come in molti , che sia corretto e si possa parlare  di “amore”  per la musica , al di là di ogni categoria.

Ognuno ha una sua storia personale da raccontare e che aspetta di esprimersi musicalmente  e il rap diventa un mezzo potentissimo per i giovani  con cui farsi ascoltare, far ascoltare le proprie sofferenze , i propri desideri , i propri  percorsi  emotivi di ricerca individuale identitaria  e di crescita, insomma tutto un mondo da scoprire per gli adulti di riferimento e soprattutto per noi genitori di figli adolescenti. Proviamo a sintonizzarci senza giudicare e qualcosa  in più capiremo anche dei nostri figli, perchè non tutto sia sempre così indecifrabile e incomprensibile.

GHALI

“Ho visto tante cose, da fuori e da dentro, e vorrei far capire ai ragazzi che definiamo “di quartiere” che le strade secondarie creano solo scompiglio.

Riuscirci con la musica vuol dire anche essere un esempio.

Un esempio positivo. Ghali

Ninna-nanna-di-ghali-copertina disco

Ho deciso di cominciare da questo rapper, GHALI, grazie all’aiuto di mio figlio adolescente che me lo ha consigliato, con ERNIA e TEDUA, ed è uno dei primi che ho ascoltato nei suoi pezzi e attraverso le sue interviste.

Ho deciso di scrivere di questi giovani RAPPER italiani che sono i nuovi idoli dei nostri figli e in qualche modo i messaggi che danno sono interessanti e aprono ad un nuovo corso della musica HIP HOP italiana e del mercato musicale in generale in quanto portano avanti i loro progetti con grande impegno e intercettano un po’ tutte le fasce generazionali, dai figli adolescenti ai genitori ultracinquantenni , come me perché ad esempio a me la musica di GHALI piace molto e anche lui per come si pone e i messaggi che dà.

Su Youtube si possono trovare tutti i suoi pezzi, come sul suo canale, inoltre ha un suo logo, un suo brand e un suo magazine con la scritta STO e il segno delle corna, un simbolo piuttosto ricorrente in ambito musicale giovanile, dimostrando che si può diventare famosi senza alcun aiuto di una major.

GAHLI ha superato ogni record italiano su SPOTIFY (Spotify è un servizio musicale che offre lo streaming on demand di una selezione di brani di varie case discografiche ed etichette indipendenti) ed è riconosciuto come un artista di successo anche dai suoi dischi d’oro e di platino in quanto si muove molto bene sulla scena musicale italiana portando avanti con grande impegno tutti i suoi progetti.

E’italo-tunisino, nasce nel 1993 a Milano nel quartiere di San Siro e poi cambierà diverse zone di Milano e la sua passione per il RAP nasce prestissimo da ragazzino, 11 anni, ascoltando e seguendo i concerti dei Club Dogo e da lì poi seguirà tutto un percorso che lo porterà ad affiancare sul palco  rapper più noti come FEDEZ e GUE’ PEQUENO.

Sin da piccolino sogna di diventare famoso perché crede che il successo sia la cosa di cui  ha  bisogno , anche quello di “comperare casa a mia madre” , come dice in un suo pezzo, come una rivincita  così come  “la gente che urla il tuo nome , ma poi invece ti accorgi che le cose veramente importanti sono quelle piccole , che poi  sono tutto quello che abbiamo, gli amici, la famiglia, l’amore” e anche in studio quando stai lavorando “c’è bisogno di questo come prima cosa” e aggiunge Ghali  “non bisogna bucare la vera bolla” , dove per “bolla” evidentemente si intende proprio ciò che rappresenta la propria identità, i propri valori , ciò che  protegge da quel mondo “fuori” e “altro”  che distrae da quello vero, ossia “la bolla”protettiva appunto. (Dal parchetto al palco insieme a Ghali – Noisey Meets :  https://www.youtube.com/watch?v=krEF-619wDM&t=1s).

Nei suoi pezzi principali si ripercorre questo suo pensiero, o meglio più pensieri che vanno un po’ fuori dalla cultura RAP e forse è un po’ questa la chiave del suo successo e del fatto che oggi riesca a raggiungere così tanti fan e di età diverse.

Sul suo successo in realtà si interroga anche lui, con quell’aria elegante, forse un po’ incredula  e sognatrice di chi non si aspettava una risalita così  , dopo un periodo piuttosto difficile e statico, anche  se nelle sue interviste spiega che lui e il suo team ( è prodotto da Charlie Charles)  non hanno mai smesso di credere e di lavorare con impegno in questi anni e chi ha sempre creduto in lui è soprattutto la mamma di  Ghali  che peraltro  non manca mai di citare nei suoi brani  e a questo riguardo è molto evocativa la copertina del singolo Ninna Nanna in cui vi è la bella immagine della madre (vd. sopra).

 

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Ghali e sua madre

 

Ghali non si ritrae dal raccontarsi quando capita e con tutta la sincerità che lo caratterizza racconta delle sue esperienze e della sua famiglia, anche di un padre molto scomodo, in quanto avanti e indietro dal carcere,  e a questo proposito dice: “il mio quartiere e la mia esperienza personale di vita mi hanno insegnato che io non voglio più vivere così. Ho visto tante cose, da fuori e da dentro, e vorrei far capire ai ragazzi che definiamo “di quartiere” che le strade secondarie creano solo scompiglio. Riuscirci con la musica vuol dire anche essere un esempio. Un esempio positivo.” (http://lacittanuova.milano.corriere.it/2015/06/29/il-mio-incontro-con-ghali-il-rapper-di-quartiere-che-arriva-in-tunisia/).

Il suo nome tradotto in italiano vuol dire “prezioso”, “ben voluto” e per lui è anche una responsabilità che sente importante come quella di non tradire tutti i giovani che lo seguono e per i quali è diventato un esempio da seguire e per loro  quasi “un fratello maggiore”.

Da ciò che ho letto su di lui e dalle sue parole, ho capito che Ghali è un gran lottatore e che non esiste una musica di serie A e una di serie B quando è mossa dall’ unica caratteristica di cui la musica si compone ossia l’amore, la passione con cui si fa quello che si ritiene essere la cosa più bella al mondo come creare la propria musica e condividerla con gli altri, un’unica lingua universale che unisce al di là delle razze e dei diversi colori.

Questo Ghali lo ha capito bene e gli auguro di fare ancora molta strada perché se lo merita e gli auguro che i suoi pezzi passino anche in radio, al di là del fatto del discorso sulle “parolacce” diffuse nei suoi testi (non in tutti)  e un certo slang giovanile attuale che potrà non piacere a tutti, ma esprime un linguaggio giovanile diffuso, con testo e contenuti da decodificare per ciò che possono svelare, andando oltre  una prima resistenza un po’ snobistica circa la forma testuale.

Tra i suoi brani più conosciuti e che mi sono molto piaciuti cito: “Cazzo mene”, “Vai tra”, “Dende”, “Wili,Wili”, ma in verità  so che dovrò ascoltare ancora meglio questo giovane e bravo artista e so che mi stupirà ancora di più e avrò altre cose da scoprire su di lui e la sua splendida carriera.

Mi auguro di aver stimolato qualche altro genitore ad approfondire , per capire meglio e conoscere meglio il mondo dei propri figli , almeno quelli che seguono questo artista così promettente e competente.

continua…..

Stefania Cavallo

14 agosto 2017

 

 

 

 

Il finto ed eterno “giovanilismo”

Domande

 

Oggi pubblico un mio vecchio contributo del 2014  a proposito di finto  “giovanilismo” (Atteggiamento di chi, non più giovane, ostenta modi e comportamenti che sono tipici dei giovani, o come tali considerati, spec. per conformistico condizionamento di mode culturali. TRECCANI)  e  “giovani” :

 

A proposito di giovani!!!!

Sono sempre più  preoccupata e amareggiata quando leggo che per occuparsi dei “giovani”  ci si debba dividere politicamente a destra o a sinistra, in maniera faziosa,  senza riuscire a centrare il cuore del problema ossia , a mio avviso , che è quello di “ascoltare i giovani e le loro esigenze ”  dando loro senso di responsabilità e giusta valorizzazione .

Sono preoccupata a volte del clima “terroristico” (con tutto il rispetto!)  che si cerca di diffondere a proposito dei giovani “buoni a nulla” che sanno perdere il proprio tempo in giro, nei bar e sulle panchine, così quando si fa del  “terrorismo sociologico”  sulla crisi attuale della famiglia  e gli stili educativi genitoriali , e così via.

Ricordo, proprio un anno fa ,un editoriale del nostro notiziario “quiBasiano” , dal titolo “Giovani volonterosi”, di cui avevo apprezzato l’approccio per aver posto l’accento “sugli esempi positivi, su coloro che si danno da fare, per far partire circoli virtuosi di sviluppo della nostra piccola comunità” (Angelo Vergani)  nei vari ambiti sociali, culturali, sportivi del nostro paese.

Inoltre, per lavoro e per formazione personale, mi capita spesso di partecipare, a “tavole rotonde” in altre realtà , non lontane territorialmente dalla nostra , in cui a volte i partecipanti sono proprio “i giovani” di alcuni C.A.G. con i loro educatori che presentano al “pubblico ascoltatore” gli elementi di soddisfazione , di fatica o problematicità legati al tema dell’ “assumersi la  responsabilità” e , per gli educatori, nell’insegnarla attraverso il racconto di alcuni episodi e storie concrete.

 

In ogni caso emerge che “bisogna accogliere” le esigenze dei giovani, con tutte le mediazioni del caso (sedendosi tutti intorno ad uno stesso tavolo a dialogare in maniera costruttiva) , in quanto una “comunità cresce”  se riesce a “farsi carico della cura dei giovani” e sappiamo tutti che spesso il limite è quello di “rispondere alle emergenze”  senza avere creato i giusti spazi di prevenzione, di ascolto e di apprezzamento delle attività positive dei giovani,  nel rispetto e nella condivisione delle regole del vivere civile di una comunità.

 

Stefania Cavallo

(vecchio contributo del  22 /01/ 2014

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mio padre il tenore Rodolfo De Cavalieri , oggi Dodò

Libro Mino Cavallo018

 

Il nipote Dodò alias il tenore Rodolfo  De Cavalieri (dal  mio libro “Il baritono Mino Cavallo.Memorie e radici della lirica”  Ed. La Sapienza di Roma, Roma 2014)

Dodò

Un articolo di giugno 2008 dalla Gazzetta locale dell’Adda

 Dodò  si chiama Adolfo  e nasce in Francia a Aix-En-Provence  il 22 maggio 1930;   fin da ragazzo si appassiona alla Lirica e studia al Conservatorio di Marsiglia dove si diploma  nel 1953 e impara quest’arte con un grande maestro  dell’epoca,  il tenore Trantoul  . In quel periodo Dodò  lavora ancora con suo padre carrozziere  e lavora duro di giorno  facendo l’operaio  e di  sera non si risparmia  con le lezioni di canto, solfeggio e arte scenica.  Vince il Concorso dei tenori francesi e a 25 anni decide di venire in Italia per migliorare  la sua tecnica vocale  e per completare la sua preparazione  con la  grande Scuola lirica italiana da sempre  considerata “la migliore  al mondo”  , quella di riferimento nel campo del “bel canto”.

Classe  con  Dodò    al Conservatorio di Marsiglia 001

Dodò e la sua classe al Conservatorio di Marsiglia col maestro Trantoul

Decide di andare così da suo zio , il baritono Mino Cavallo , a Napoli  e così incomincia la sua  avventura  in Italia  , imparerà  in pochi mesi l’italiano , che non conosceva assolutamente,  e debutterà  in Rigoletto .

Conoscerà sua cugina Ada, anche lei già soprano lirico,  che lo  aiuterà  nella preparazione delle opere  e di cui si innamorerà perdutamente sino a sposarla  il 30 marzo  1957 , con sfondo il magico e silente Vesuvio,  e solo dopo aver ottenuto la dispensa papale  che consentiva il matrimonio tra cugini .

Così  Ada e Dodò  decideranno di avere figli  solo dopo  aver saputo precisamente e  con prova scientifica che non c’erano tare ereditarie familiari , nell’albero  genealogico,  sino a sette generazioni  prima .

 

Ma  torniamo al canto …..

 

Insomma Dodò  inizia a lavorare con Ada e Mino e faranno insieme  una compagnia teatrale che andrà in giro a cantare opere e a tenere concerti  con i nomi d’arte di  Adolfo De Cavalieri e Ada Veneziani .

 

 Il tenore De Cavalieri-Dodò  con Ada Veneziani- Ada

 Dodò e Ada in teatro

Dodò è un tenore che ha avuto molto successo, ma ora pochi si ricordano di lui. Il suo repertorio è molto vasto e annovera sino a 36 opere che ancora oggi, all’alba dei suoi splendidi 83 anni ,  ricorda  a memoria, come all’ora . E’ sempre stato appassionato di Verdi e Puccini.

Ha  conosciuto e ha cantato con persone importanti della lirica come Gino Bechi, Tito  Schipa e Carlo  Tagliabue.

Insomma  Dodò  esordì  a Napoli con Rigoletto e terminerà la sua carriera nel 1963 quando  purtroppo  non riuscirà   ad avere scritture  e  l’interesse  per la lirica comincerà a diminuire .

Fu un periodo molto brutto per lui , doveva  pensare alla famiglia , abitava a Milano  e faceva molti sacrifici già da qualche tempo,  così un giorno uscì  di casa di mattina presto, lasciando i suoi guanti bianchi  e il suo cappello di artista  e invece di andare in Galleria , dove si poteva trovare forse qualche  scrittura  nel suo lavoro, ma forse un po’ esausto  e stanco di non trovare nulla , pensò di tornare a fare il suo lavoro di carrozziere , quello che aveva imparato dal padre in Francia  ……e così  tornò  quel giorno a casa e disse ad Ada :  “Ada da domani incomincio a lavorare in carrozzeria!”.

Da quel momento Dodò si buttò alle spalle tutti i sogni  legati alla lirica  e questo resterà un punto di non ritorno nella sua  vita.

Ne scrivo ora  , da figlia, e per la prima volta  così pubblicamente, perché questo ha rappresentato  un peso  negli anni  per la nostra famiglia .

Un peso soprattutto per Dodò che crede sempre di aver sbagliato qualcosa nella sua vita e crede che se avesse avuto più pazienza forse le cose all’epoca sarebbero andate meglio , chissà!  Certo lui in modo coscienzioso  optò per la famiglia  e abbondonò per sempre la musica .

 

Per molti anni in casa nostra non si parlò più di lirica e di musica e quando succedeva di ascoltare qualche opera in televisione  o romanza  erano momenti di grande tensione e commozione  così  come ancora oggi  ….è come se non si fosse mai chiuso in realtà quel legame magico col mondo della lirica , come si  suol dire   “buttato fuori dalla porta , rientra dalla finestra!”

 

Capitò  che , in un certo periodo della mia vita verso i vent’anni,   stimolai  molto i mei genitori ad uscire da questa situazione , molto dolorosa per loro ma anche per me,  e cominciò così ad entrare in casa un pianoforte  e da lì decisi di farmi preparare da mio papà  Dodò  per la prova, in canto lirico, di  ammissione al Conservatorio di Milano e ci riuscimmo .

Ero al limite dell’età  per il Conservatorio  e avevo 26 anni ;  Dodò era entusiasta  e anch’io perché in qualche modo  ci eravamo riconciliati  con  quel mondo  e  forse questo aveva sanato un po’ qualche ferita del passato .

 

Oggi con Dodò si parla più volentieri dei ricordi del passato legato alla sua passione per la musica e l’arte del bel canto  e quando si parla di Mino Cavallo  i suoi occhi si illuminano  e se si trova al pianoforte anche la sua  voce  sembra non conoscere l’azione del tempo che passa,  una voce alla Carreras come ama autodefinirla,     così come quando  a teatro  era un bell’ interprete di Bohème , di Traviata , di  Tosca , di Lakmé  o di  Rigoletto!

Dodò  è stato  sempre molto riconoscente  a suo zio Mino Cavallo e ne è stato molto “innamorato”  sia  in senso artistico  che umano. Entrambi si sono voluti molto bene e si sono molto stimati come artisti e visionai  di quel mondo in cui credevano con passione  e  profonda dedizione  , così come accade tra professionisti  e perfezionisti autentici .

Questo è il suo ricordo di Mino Cavallo  “Un grande artista, un grande uomo e un autentico maestro che ho avuto la fortuna di  incontrare nella mia vita ! “.

 

Stefania Cavallo

6 agosto 2017