LAVORO, RICERCA , PAROLA , PERSONA
CONVEGNO MCL DI VOGHERA
9 MAGGIO 2015 VOGHERA
Il LAVORO una dimensione ed una necessità antropologica che nasce già da quando si è bambini, secondo la Montessori che aveva colto nei più piccoli questo continuo slancio al fare , alla laboriosità ludica .
Una parola che oggi fa discutere e riflettere perché invisibile e spesso negata, perché siamo in una stagione della nostra vita in cui si dice che la nostra è una società “del lavoro che non c’è” .
In questi anni la RICERCA del lavoro è fatta in modo spasmodico e spesso senza un esito , togliendo ai RICERCATORI LAVORATORI quel sentimento di speranza che come dice lo psichiatra Vittorino Andreoli cambia il nostro comportamento nel momento in cui la evochiamo e la attiviamo mentalmente.
Fondamentale diventa allora la PAROLA , il poter tornare a nominare ciò che diventa difficile esprimere , ossia quel sentimento di disagio , di rassegnazione, di solitudine e di sconforto che prende quando non si ha più il LAVORO.
Quando non si ha più il LAVORO , a qualsiasi età e ancora in fase come si dice produttiva quindi anche over 50 , ciò che viene intaccato, minato è soprattutto il valore della propria identità come PERSONA , si diventa quasi invisibili , si fa in modo di essere invisibili perché ci si vive come delle “vite a perdere”, con una dimensione di socialità inesistente in cui non vale più nulla, né le proprie esperienze accumulate negli anni e con gli studi , né il proprio bagaglio professionale .
Ecco allora che di fronte allo scenario attuale della crisi nel mondo del lavoro si può reagire attraverso una rete di protezione perché dietro i dati Istat della disoccupazione , dietro a questi drammatici numeri , ci sono soprattutto i drammi e le sofferenze di persone e famiglie quelle rappresentative delle “nuove povertà” . E’ importante capire ed indagare meglio il sentimento di “ insicurezza” che pervade la nostra società , accompagna l’attuale disoccupazione e questa crisi economica .
Esperienze di “mutuo soccorso” che si realizzano grazie al singolo contributo o attraverso gruppi di persone , possono fare il salto verso le Istituzioni e diventare più operative , acquistare così un’efficacia maggiore e capillare , iniziando a pensare che dei “percorsi culturali umanistici ” sono possibili in questo ambito e che bisogna investire nella possibilità di un cambiamento culturale della società, con uno sguardo al concetto di servizi sociali e di aiuto alle persone che superi il tradizionale assistenzialismo per orientarsi invece verso un concetto di “cooperazione” tra chi aiuta e chi è aiutato , in maniera di gestire insieme un rapporto di fiducia reciproco e di ricostruzione sociale .
Gli equilibristi
Il termine “equilibrista” è coniato dal bel film di Ivano Di Matteo “Gli equilibristi” , in cui si racconta la storia di un padre che dopo la separazione e pur avendo un lavoro e uno stipendio che in tanti anni aveva garantito una certa agiatezza alla sua famiglia e alla figlia adolescente , si troverà a scivolare velocemente in una situazione di povertà e di disagio esistenziale molto forte , trovandosi a vivere addirittura in auto ed andando alla mensa della Caritas , nonostante il suo sforzo di riuscire a fare in modo che nessuno della sua famiglia sapesse e cercando di continuare a dare un senso ed una dignità a ciò che gli stava accadendo .
In realtà questo padre è appunto diventato un “equilibrista” per il suo modo di stare continuamente a galla e “in piedi” in un contesto di vita diventato per lui insostenibile, facendo tutto il possibile per “resistere” ad una situazione economica sempre più difficile e critica .
Sono tanti i genitori “equilibristi” che si trovano a dover fare i conti con questa crisi economica che come sappiamo ormai da tempo è una crisi strutturale e soprattutto che sta interrogandoci sul piano etico e culturale, rispetto alle nostre abitudini e ai nostri valori di riferimento.
Tempo fa parlando di questa crisi ho definito cosa sono per me i contemporanei “lavoratori acrobati” e ne ho parlato a lungo in un mio libro , ispirandomi al bel libro “Mamme Acrobate” di Elena Rosci e che rende molto bene l’idea delle mamme di oggi un po’ “multitasking” o “tuttofare” :
“ così come uomini e donne , giovani e meno giovani tutti Lavoratori Acrobati che per riuscire a sopravvivere si sono dotati anche loro di grandi capacità acrobatiche , come quegli atleti che sfidano tanti rischi per non cadere e che spesso sono sprovvisti di reti di sostegno e di salvataggio. Si pensi ,ad esempio, anche a quei lavoratori che lavorano senza una minima misura di sicurezza e sfidano ogni giorno , ogni minuto, la sorte a tutela della propria dignità umana e credibilità sociale” .
Quando si perde il lavoro si rivive un po’ uno vissuto di “abbandono”, di forte smarrimento emotivo proprio come quando eravamo neonati.
Insieme a questo sentimento di perdita e di abbandono che si coglie in chi perde il lavoro si associano tanti sentimenti negativi che possono intaccare in maniera importante e seria la propria identità e quindi il proprio “essere”, il proprio viversi in una condizione sino ad allora sconosciuta e nuova con cui bisogna iniziare a fare i conti, ma soprattutto si tratta di una dimensione che coinvolge la nostra vita affettiva e relazionale.
Un conto è sapere che si andrà in pensione, e comunque anche a questa futura prospettiva sarebbe opportuno prepararsi in maniera adeguata, un conto è sapere che sei stato licenziato, magari senza preavviso e con una modalità un po’ spregiudicata come quelle sempre più in uso oggi ossia, attraverso un fax, ecco tutto ciò, in questi casi, può essere irreparabilmente devastante.
Noi viviamo tanti momenti della nostra vita che ci possono causare dei corti circuiti, anche se momentanei, ma spesso non siamo pronti, come degli “analfabeti emotivi”, sul “come” reagire a tutto questo e soprattutto ci risulta più semplice pensare che forse, in qualche modo, siamo caduti vittime di qualche negatività astrale o simili.
Il gruppo
La risorsa principale del mutuo aiuto. Ecco una frase che rappresenta l’energia che può sprigionare un gruppo che non è semplicemente la somma delle persone che lo compongono perché :
“due più due” non fa semplicemente “quattro”, ma molto di più!
Sui “gruppi d’incontro” e sull’approccio ha scritto intense pagine lo psicologo Carl R. Rogers attraverso la forza dei cambiamenti d’atteggiamento e di comportamento realizzabili in un gruppo. I suoi testi sul tema nascono da un’esperienza viva e personale e gli individui di cui si descrive la vita e si citano le parole sono persone che vivono e lottano.
Rogers ci spiega come in un gruppo siffatto l’individuo giunga a conoscere se stesso e ogni altro più a fondo di quanto non riesca a fare negli usuali rapporti sociali o di lavoro. Si familiarizza profondamente con gli altri membri e con il proprio intimo Sé, quel Sé che altrimenti egli tende a nascondere dietro la facciata. Di conseguenza, ha con gli altri dei rapporti migliori, sia in seno al gruppo sia, in seguito, nelle situazioni della vita quotidiana.
In una relazione, ciò che si lascia all’altro è qualcosa di intangibile.
Una strada percorribile diventa il dotarsi di strumenti metodologici e operativi di sensibilizzazione umanistica-culturale per tutti coloro che a vario titolo desiderano “mettere al centro la valorizzazione della persona”, precaria o senza lavoro, ai tempi del “lavoro che non c’è”.
PAROLA E ASCOLTO
La mia proposta come lavoratrice “equilibrista” è proprio questa di incentivare e rimettere in circolo l’ascolto attento e partecipe nell’ambito dei gruppi di AUTO MUTUO AIUTO e cercare di stabilire un dialogo aperto, autentico e attivo tra chi vive la stessa situazione . E’ il caso che ogni PERSONA senza lavoro cominci a ri-appropriarsi di queste semplici leve comunicative che caratterizzano i cosiddetti fondamentali per non soccombere ma resistere a situazioni di difficoltà .
Un pensiero che sintetizza meglio forse questa mia proposta , lo si può cogliere attraverso quanto dice Sivia Vegetti Vinzi :
“Viviamo in un’epoca spassionata dove ognuno affronta da solo le proprie emozioni, convinto che nessuno voglia conoscerle e condividerle. Ma appena si apre uno spazio di parola e di ascolto ecco che le persone vi entrano e, prendendo coraggio, raccontano di sé e si dispongono ad accogliere e aiutare gli altri”
(Sivia Vegetti Vinzi , La stanza del dialogo. Riflessioni sul ciclo della vita , Ed. Casagrande , Collana Alfabeti, Bellinzona)
Mi piace citare spesso contributi filmici , durante i mie interventi sul tema , e così mi piace ricordare un bel film recentissimo dei registi Jean-Pierre e Luc Dardenne “Due giorni, una notte” (Deux jours, une nuit -2014) .
Un film reale e commovente che racconta della perdita del lavoro oggi, con protagonista una giovane donna che dopo una malattia di tipo depressivo ritorna in fabbrica e scopre che il suo capo-reparto ha deciso di licenziarla .
Sandra, moglie di Manu e madre di due bambini, è stata licenziata per esubero di personale. La proprietà ha messo ai voti la decisione, però ponendo gli altri operai di fronte a un’alternativa: o lasciare a casa la donna, o mantenerle il posto di lavoro ma rinunciando al premio di produzione, un bonus di mille euro, di cui tutti hanno più o meno bisogno.
Sandra , sollecitata dal marito, andrà a far visita nel weekend ai suoi colleghi , per convincerli in sostanza che è in atto nei suoi confronti un’azione mirata per farle perdere il lavoro e che tutto quello che il capo-reparto ha detto di lei è falso, così come il fatto che si sia detto anche che non sarebbe stata più adatta al suo lavoro dopo la malattia.
La pellicola dei Dardenne , come quelle sul tema di Loach , Guédiguian e De Matteo , ci spiazza perché affronta sì il drammatico vissuto di chi perde il lavoro oggi , ma ci offre un sguardo focalizzato sulle tante e sempre più diffuse fragilità esistenti negli ambienti di lavoro , in maniera da farci percepire una sorta di misera e attualissima “competizione nei luoghi di lavoro ” .
Sperimentiamo altresì il cambiamento e una certa solidarietà (il mettersi al posto dell’altro) che in questi casi si può creare, così come “il battersi” per mantenersi il posto di lavoro , aspetto questo non sempre scontato, un po’ forse come una specie in via di estinzione .
La battuta sul finale di Sandra-alias Marion Cotillard al marito al telefono sarà bellissima :“Ci siamo battuti bene! “, una frase che a mio avviso la dice lunga su come a volte si sia forse un po’ rinunciatari quando si perde il lavoro o più precisamente si viene licenziati ingiustamente ; un messaggio questo che personalmente fa molto riflettere e interroga anche su cosa può succedere in questi casi, nel rapporto di coppia, se non si è ben saldi e capaci di “lottare insieme” marito e moglie .
Per Sandra la rinuncia al lavoro rappresenta anche una perdita d’identità, di dignità; la fa sentire inadeguata, col rischio di ri-spingerla nuovamente sulla via della depressione.
Nel guardare questa storia ci si può rivedere e si può rivivere questa triste esperienza , sia se la si sia vissuta in prima persona sia se abbia riguardato un proprio caro , il pensare e condividere continuamente un comune sentimento di vicinanza e di sofferenza per quel periodo drammatico diventa fondamentale perché non succeda più , in un’elaborazione emotiva che lo allontani per sempre .
Stefania Cavallo
9 MAGGIO 2015 – VOGHERA