La resilienza.
Fare l’esperienza dello scacco, conoscere il dolore
“ per fortuna ho fatto l’esperienza del fallimento” (Daniel Pennac)
Ieri ho ricevuto un invito a partecipare ad un incontro su questa tematica “la resilienza” cioè la capacità di proteggere la propria integrità sotto l’azione di forti pressioni, quella forza interiore che consente alle persone di reagire ai colpi della vita, di risollevarsi e di ricostruirsi. La resilienza è spesso chiamata in causa per comprendere come le persone riescano a gestire le conseguenze di vicende traumatiche.
Mi sono detta subito che potrei fare da “testimone” su questa questione e potrei raccontare il perché .
Il termine in questione è stato molto sdoganato da qualche tempo a questa parte e mi capita di sentirlo usare forse anche un po’ a sproposito , forse da chi non lo vive neppure e non l’ha mai vissuto sulla propria pelle . Ecco intanto mi verrebbe da dire che se non hai mai vissuto situazioni che ti hanno veramente messo a dura prova nella tua vita , sarà molto difficile capire chi invece le ha vissute e quindi non può usare questo termine o se lo dovesse usare almeno dovrebbe mettersi all’ascolto di queste esperienze .
Proprio l’altro giorno sentivo, in un suo video, il noto scrittore –insegnante francese Daniel Pennac che raccontava come lui dicesse di avere qualche conoscenza in più , ossia la conoscenza del dolore , rispetto ai suoi colleghi professori (ex-bravi studenti /“bons élèves”) , in quanto essendo stato a suo tempo un “cattivo studente” aveva fatto l’esperienza del fallimento e ha detto proprio così “ par bonheur, j’ai fait l’expérience de l’échec”, che tradotto vuol dire “ per fortuna, ho fatto l’esperienza dello scacco/del fallimento”, cosa che ha arricchito la sua formazione e approccio al suo lavoro di insegnante-professore , mettendolo in diretto contatto con quegli studenti più difficili, i cosiddetti “somari” della classe.
Il resiliente è spesso una persona “invisibile”, silenziosa nel suo dolore interno, che si rende conto di avere grosse difficoltà e di sentirsi minacciato anche nella sua stessa sopravvivenza fisica e psichica, ma che nonostante questo e nel suo sentirsi sempre in una situazione di limite e di “fine”, a volte anche della propria stessa esistenza, non si arrende e getta il suo sguardo e il suo cuore oltre l’ostacolo, aiutato dalla sua capacità intrinseca di credere che qualcosa cambierà in meglio e che la sua situazione è transitoria , non potrà durare a lungo, perché la sua stessa voglia di vivere e di reagire agli scacchi della vita superano il sentimento stesso di fallimento e di resa che lo attanagliano quotidianamente senza scampo.
La mia esperienza di “resiliente” doc
Nella mia invisibile “resilienza quotidiana” , mi vivo come persona che in questa condizione ha trovato un “ modus vivendi “, perché si tratta spesso di convivere con una condizione di esistenza in cui la crisi economica ha gettato me e la mia famiglia, ma anche altre persone , in grossissime difficoltà e non sono difficoltà soltanto economiche o materiali ma spesso sono difficoltà più sottili, appunto più invisibili , che riguardano sia la sfera più intima sia quella relazionale , amicale e familiare.
Nel concreto è da alcuni anni che sto lottando con la precarietà del lavoro sia per quanto riguarda me che mio marito e da quando questa crisi ha attanagliato le nostre esistenze abbiamo vissuto esperienze incredibili per non cedere mai alla disperazione e a quel momento drammatico che è il “farla finita” . Senza la continuità lavorativa vedi rimpicciolire molte delle tue speranze e possibilità di realizzazione personale , perché impari a vivere alla giornata , impari a calcolare ora per ora quello che puoi permetterti e quello che non puoi permetterti e spesso cerchi proprio di evitare quelle situazioni che non ti fanno sentire in una condizione di conforto, nella cosiddetta “confort- zone”, altra nuova parola un po’ abusata.
Perché sì certo si è resilienti , ma dentro di sé si soffre moltissimo e si è consapevoli di quanto si è fragili e lo scoprirsi con gli altri non sempre può aiutare , sicuramente è qualcosa che si fa solo con pochissime persone che forse si possono contare sulle dita di una mano , quando va bene.
Essere resilienti è una bella responsabilità perché quando ti svegli ogni giorno sai che avrai grossi problemi personali da affrontare , non ancora risolti, e che non potrai risolvere nel breve periodo anzi spesso pensi che non sai quando e se potrai risolvere definitivamente , ad esempio l’assenza del lavoro , tuttavia ti metti in moto e cominci ad affrontare la tua giornata con un sano realismo ma anche con quel mantra interiore che ti dice “vedrai che qualcosa cambierà , non ti preoccupare” e allora costruisci tutta una serie di azioni concrete che possano dare un senso alla tua vita, ma ti preoccupi soprattutto di chi ti vuole bene e degli affetti più cari perché hai questa “responsabilità resiliente” non solo verso te stessa ma anche verso chi ami di più (marito e figli) .
Da “resiliente doc” si accettano tante situazioni che forse non accetteresti mai in condizioni “normali” , nel senso che ad esempio si accettano lavori a bassissima remunerazione e magari non sempre attinenti ai tuoi studi e specializzazione, ci si butta in progetti con persone che ti vedono solo come loro possibilità di “business” senza però condividere l’anima del tuo lavoro e progetto , si accetta di “lavoricchiare” quando c’è il lavoro e quando ti chiamano e allora fai i conti velocemente perché sai che forse non ce la farai comunque ad arrivare alla fine del mese (a pagarti l’affitto e qualche utenza che hai già rateizzato, oppure l’abbonamento per i mezzi dei figli, a volte hai difficoltà a pagarti i mezzi o la benzina per recarti a lavoro , ecc .) .
Sì essere “resilienti” è proprio una bella fatica e responsabilità.
Credo che ogni resilienza sia diversa , o meglio il modo di esprimerla sia diverso però il “resiliente doc” lo riconosci perché non ha pudore nel dirti la sua condizione (pur nel suo silenzioso dolore) e di come ce la metta tutta per non arrendersi e di come ce la metta tutta per dare un senso al suo “esserci”-“senza se e senza ma”, impegnandosi con profonda generosità anche per gli altri che magari hanno uguali difficoltà se non peggiori (perché non resilienti…) perché sa che la solidarietà è qualcosa che può fare la differenza in certe circostanze.
Quindi, il resiliente non è da confondere con chi si lamenta in continuazione sulla sua condizione esistenziale -che la urla- esprimendo così l’incapacità di affrontare i problemi, ma è proprio l’incontrario ossia è chi usa la sua più intima energia interiore per invertire e trasformare il suo destino-la sua sorte , di chi sa che la differenza consiste proprio nel “come” si reagisce alle difficoltà anche quelle più dolorose e impossibili. Il distinguo è anche nella tipologia delle difficoltà che si affrontano e in particolare mi riferisco a quei dolori che rientrano in vere e proprie elaborazioni del lutto, di una perdita , di un fallimento, di una grave malattia, in buona sostanza di un grave episodio , spesso, imprevisto che attraversa la propria vita .
Cosa mi aiuta come resiliente doc ? Il parlarne spesso con i miei affetti più cari (come ad esempio i miei genitori , a volte il loro aiuto concreto materiale …) e lo scriverne .
Forse la resilienza come qualità umana e caratteristica peculiare di alcune persone potrebbe essere specificata sulla carta d’identità e sul proprio curriculum , ma questa è ancora un’altra storia ……..
Certo l’ideale, l’auspicabile sarebbe poter vivere e passare ad una situazione di “non resiliente”, nel senso di non prevedere più quella necessità di mettere in campo , ogni giorno, un notevole dispendio emotivo per far fronte alle minacciose e continue incertezze lavorative …..ad esempio!
Stefania Cavallo
26 marzo 2016
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